martedì 23 febbraio 2010

LE CIASPE : nascita di un amore

Ho ritrovato tra le mie cose questo articoletto scritto nel 2001 per ALPINISMO CANAVESANO la rivista del CAI di Ivrea, ve lo propongo senza modificare una virgola.



LE CIASPE : nascita di un amore

Da tanto tempo c’era la voglia di trovare qualcosa di nuovo da fare in montagna d’ inverno che non fosse la solita discesa in pista e fosse comunque abbordabile.
Pero’ non è facile decidersi, soprattutto se non hai la compagnia giusta; per fortuna un bel giorno entra in scena P. e mi dice che al CAI organizzano le gite con le racchette e di provare a andare, bara un po’ perché sostiene che non si fa tanto dislivello e che sono passeggiate tranquille ma lo guardo e penso “ se ce la fa lui ce la faccio anch’io” e cosi mi iscrivo…… poi mi informo e scopro che e da quando è nato che mangia pane e montagna e che per partire mi devo trovare al posto convenuto più o meno all’alba ma ormai sono in ballo e vado.
A questo punto alla domenica sveglia all’ alba e raduno al parcheggio dove tutti imbacuccati e intabarrati non ci si riconosce quasi salvo P. (distinguibile dal mezzo toscano che sbuca dalla sciarpa), e un’ amica che ha un difetto di respirazione per cui o parla o soffoca e quindi riesce a parlare anche con questo freddo.

Ci dividiamo tra le macchine carichiamo le ciaspe, i bastoncini e gli arva, verifichiamo che lo smemorato di turno non abbia lasciato a casa uno scarpone o i bastoncini e si parte.

Il capogita, che col potere che gli deriva dalla sua carica decide sempre all’ ultimo momento (in base alle condizioni di innevamento, al bollettino delle valanghe e alla dislocazione delle piole ) quale itinerario fare, ci informa che oggi andiamo a cima A. ( e chissa dov’è?).

Percorriamo una stradina infernale stretta e con neve, ci si ferma mettere le catene e finalmente si arriva in un paesino deserto con al massimo 4 abitanti e 10 galline surgelate. Fuori della macchina ci saranno almeno 56 gradi sotto zero! E’ la Siberia? Abbiamo sbagliato strada? No! Il CAPOGITA ci rassicura, siamo a P. il punto di partenza.

Ci mettiamo l’ attrezzatura addosso , controlliamo che gli Arva siano accesi, e si parte.
Costeggiamo tre case, una bella fontana che stranamente non è gelata (ma allora non è cosi’ freddo), ci infiliamo su per una scaletta di pietra e ci troviamo su un bel sentiero innevato in mezzo ai larici.
Appena usciti dal bosco siamo al sole, tutto questo bianco incontaminato dove non è ancora passato nessuno è uno spettacolo e attacca la salita. E’ ripido, ci tocca andare a zig zag e ci diamo il turno a battere la neve perchè ci sono dieci centimetri di neve fresca e a fare il primo non si resiste più di tanto: ti accorgi subito che si suda come d’ estate e lo zaino pesa anche di più.
E’ una favola, sulla neve ci sono solo le nostre peste e quelle di qualche lepre.
Il gruppo comincia a sfilacciarsi per motivi fotografici, mangerecci, innominabili e beh , siamo onesti, perché mica tutti hanno lo stesso allenamento.
A mezza costa all’ altezza di un paio di baite ci fermiamo a ricompattare il gruppo e poi attacca lo strappo finale, nel frattempo sono venute le 11, la neve ha mollato, è ripido, e col peso che mi ritrovo sprofondo che è un piacere, ma la voglia è tanta, bisogna arrivare.
Mi fanno una rabbia le ragazze così leggere che sembra quasi non lascino traccia sulla neve.
Mi conforta il fatto che non sono l’ unico ad essere stanco: E. , che è una esperta e ha fatto tutte le montagne dei dintorni sta facendo testamento perché ha deciso che morirà per strada, M. abbandona e ci aspetta al rifugio e io pur soffrendo continuo a mettere un piede davanti all’ altro e a andar su (nel frattempo ho anche messo le prolunghe alle racchette cosi non sprofondo più).

Finalmente arriviamo a cima A., sono tra gli ultimi ma felice! Quattro foto a questo panorama meraviglioso , i colori , tutto questo bianco, il silenzio , questo paesaggio incontaminato e riservato ai pochi valgono ben di più della fatica che abbiamo fatto, poi giu’ di corsa nella neve alta e morbida che sembra una panna montata , questo si che è divertimento, fino al rifugio

E qui cominciano le sorprese : dallo zaino di R. esce una torta, da quello di C. un’ altra, gli uomini tirano fuori delle strane fiaschette (ma l’ alcol in montagna non faceva male?) e si mangia in allegria.

Affrontiamo la discesa per un costone pieno di neve che porta dritto alle baite, meno male che il capo gita è un vero duro che sa il fatto suo perché io proprio non mi fiderei, la neve è alta, ci sono parecchi buchi e si sprofonda spesso fino alla coscia ma tra una risata e una caduta in mezz’ora siamo giù .

Si va alle macchine, poi in piola a mangiare le famose acciughe al verde e a metterci d’accordo per la prossima gita .

Nessun commento: