mercoledì 5 gennaio 2011

Namastè- Immagini dal Nepal

Namasté - Immagini dal Nepal

Un trekking è sempre una esperienza: di luoghi, di persone, di modi di vivere e di conoscenza di te stesso.
Mi piacciono i trekking dove non tutto è prevedibile e pianificato, con piccoli gruppi di persone, dove c'è spazio per l' imprevisto e un po' di avventura e ti puoi mettere alla prova.
Da questo punto di vista il Nepal è stato certamente interessante: le persone che ci hanno accompagnato, quelle che abbiamo incontrato, i luoghi, le tradizioni, i modi di vivere, le difficoltà legate al trekking, al freddo, all' altitudine, al cibo diverso: avventura, imprevisti ed esperienze a volontà.
Il viaggio in Nepal e' un viaggio nello spazio ma anche nel tempo, sotto vari aspetti pare di tornare nell' Italia degli anni '50 quando eravamo molto più poveri e meno tecnologizzati; sotto altri, sopratutto nelle campagne, agli inizi del secolo scorso, non fosse per le radioline a transistor e gli onnipresenti telefonini.
Appena sbarchi dall' aereo Kathmandu ti assale con i suoi odori, il rumore allucinante del traffico, i colori. Dall' aeroporto ti portano a Thamel una città nella città fatta per i turisti, piuttosto pulita e ordinata con negozi a perdita d' occhio, sopratutto di articoli sportivi e ti vien voglia di spenderci subito tutto perché per noi occidentali costa proprio poco, e poi i negozietti di artigianato con i colori incredibili dei tessuti (ma quando impareremo a usare anche noi occidentali tutti questi colori che danno allegria e gioia di vivere?), i negozi di articoli di carta: libri quaderni, cornici, bigliettini, i negozi di tè…, i ristoranti e bar e perfino un paio di caffè con vero caffè italiano.
10 minuti a piedi, sfuggendo ai risciò che ti vogliono caricare e sei in un altro stato, sei nella Kathmandu dei Nepalesi: biciclette ovunque, traffico incasinatissimo, donne accovacciate per terra che vendono frutta, verdura e le immancabili corone di fiori, negozietti dove si cucinano frittelle, chapati e momo, tempietti ovunque, gente che lavora per strada, barbieri, materassai, sporcizia e degrado nelle strade e nei palazzi...
Ancora pochi minuti a piedi e ti ritrovi nella Durbar Square di Kathmandu, il centro di una delle quattro antiche capitali.
La Durbar square di Kathmandu , un concentrato di templi sia indù che buddisti che convivono serenamente uno a fianco all'altro, il palazzo reale e poco più giù Freak street un tempo il “paradiso” dei fricchettoni di tutto il mondo che qui trovavano vita e droga a basso costo.
I templi con le loro forme esotiche sono bellissimi anche se per noi occidentali entrare nella simbologia è difficile e li guardiamo in modo giocoforza superficiale.
Anche qui i risciò impazzano e alla fine, visto il costo minimo (un paio di euro in due) ci si decide a fare questa esperienza e, credetemi, nel traffico locale è quasi come essere in formula 1.
Quindi, stavolta in taxi perché si tratta di borghi anticamente separati da Kathmandu e lontani qualche km dal centro anche se ora data la crescita della città non c'è soluzione di continuità, si va a Patan.
La Durbar Square di Patan è il cuore di un'altra delle antiche capitali, simile a quella di Kathmandu, ma forse ancora piu' bella; poi ci spostiamo a Boudhanath zona prevalentemente abitata da esuli tibetani dove ti colpiscono l' immenso stupa (il piu' grande del mondo), l'assenza del frastuono del traffico, la pulizia e i negozi che nulla hanno da invidiare a Thamel e poi per completare i contrasti si va a Shwayambhunath il tempio delle scimmie dove in cima a una lunghissima e sporca scalinata affollata di mendicanti, mercanti ambulanti, scimmie si arriva a un altro tempio dal quale si gode una vista mozzafiato della città e ci si rende conto della sua vastità (Kathmandu con la sua valle ha circa 2,5 milioni di abitanti).
Dopo un paio di giorni in città arriva il momento di iniziare il trekking vero e proprio, nella prima parte andremo da Phaplu a Namche Bazaar dove il nostro gruppetto (siamo in 6 : Giovanna l' organizzatrice e tutor-badante di tutti noi, Ivo, Sara, Linda, Mario e io) si dividerà tra quelli che tornano in Italia e i due che hanno deciso di andare a vedere gli 8000 da vicino e tentare anche un 6000 (Linda e io).
Arrivare all' aeroporto (voli nazionali) è di nuovo un' esperienza, un tuffo in un traffico quale non si immagina nemmeno nelle città occidentali e dove incredibilmente tutti passano a un millimetro l' uno dall' altro, tutti strombazzano in continuazione ma non capita mai un incidente. Le moto sono uno spettacolo, hanno delle speciali grate a cui appendere un numero spropositato di borse e portano fino a 4 persone (2 adulti e due bimbi ) cosa che per altro ricordo di aver fatto negli anni '50 quando ero bimbo sulla lambretta di un amico più grande.
Riusciamo comunque a arrivare e imbarcarci all' ultimo momento su un aeroplanino da 18 posti che in un' ora di volo tra le gole delle montagne ci porta, con atterraggio su terra battuta , a Phaplu dove la prima persona che incontriamo è un anziano che ci parla in Italiano e ci racconta di aver arrampicato, da giovane, con Monzino.
Conosciamo le nostre guide, i portatori, il cuoco, facciamo la prima, buona, esperienza col cibo locale (a Kathmandu si mangia più International) e ghn ghn gambe in spalla.
Camminiamo per una settimana sempre stando su una quota tra i 1500 e i 3400 mt , attraversiamo profonde vallate verdi, ricche di acqua e popolate di piccoli villaggi collegati tra loro da mulattiere percorribili solo a piedi lungo le quali spuntano frequenti stupa e mani, i boschi sono di pini e alberi di rododendro (che in primavera riempiono le vallate con la loro fioritura) e ginepro.
Tutto ciò che arriva in questi posti viaggia sulle spalle di qualcuno: portatore, asino o dzo (incrocio tra yak e mucca), meno male che ci sono le radioline e i telefonini sono diffusissimi e prendono bene perché altrimenti sarebbero anche isolati.
L' economia è basata sull' agricoltura, la valle del Solukhumbu è ancora poco battuta dai turisti, la terra grazie agli ampi e continui terrazzamenti è intensamente coltivata seppur con metodi per noi antichi, non esistono trattori o altre macchine, solo il sudore degli umani e degli animali.
Vediamo falciare a mano, battere il riso e il grano sull' aia, essiccare le verdure al sole, tessere a mano, arare; in alcuni villaggi manca la luce (è disponibile solo poche ore al giorno anche a Kathmandu), in altri è appena arrivata anche grazie al supporto del Soccorso Alpino Piemontese.
La gente appare serena anche se la vita non deve essere facile e se contrasti ve ne sono di sicuro, in una delle nostre soste assistiamo ad una animata discussione sui costi per collegare un villaggio alla centralina elettrica.
L' accoglienza che ci viene riservata a Nunthala , dove si è concentrato lo sforzo del progetto Margherita e sono stati costruiti un presidio ospedaliero e la centrale elettrica è al tempo stesso commovente e imbarazzante: commovente perché tutto il villaggio ci fa festa per un pomeriggio intero con corone di fiori e sciarpe augurali, discorsi e danze popolari e infine con un party nel lodge, imbarazzante perché noi come singoli abbiamo fatto ben poco ma, per loro, rappresentiamo il soccorso alpino.
Il cibo nepalese pur molto lontano dal nostro è stuzzicante e gli sherpa, i cuochi, i portatori ci coccolano in ogni modo con l' acqua calda al mattino per lavarci, il the alle 10 e a metà pomeriggio e a pranzo e cena con una discreta scelta di piatti (che cucinano spesso su un fornello da campo e i cui ingredienti hanno spesso portato a spalle). I lodge sono accoglienti anche se lo standard locale non è quello di un cinque stelle.
Visitiamo vari monasteri , in particolare a Takshindo dove il lama che regge il monastero è lo zio di Chhongba (il nostro sirdar) possiamo assistere a una funzione religiosa e i monaci ci offrono il the col burro, il “Chai” .
Possiamo ammirare gli arredi e le statue del monastero, le immense ruote di preghiera e gli antichi libri e vedere i bambini che si preparano a diventare monaci.
Namasté che letteralmente significa “riconosco e saluto il divino che c'è in te” è la prima parola che impariamo, tutti lo dicono con un sorriso e i bambini in particolare sono dolcissimi, lo pronunciano strascicando un po' la parola e con la e finale chiusa (come in cena) e allungata (Namastéeee).
Attraversiamo più volte il “Fiume di Latte” che scende dall' Everest su arditi ponti tibetani (nulla a che vedere con le nostre ferrate, su questi passa una mandria di Yak, sono molto lunghi e stabili, dondolano un po', questo si) e infine dopo aver visto da lontano le alte cime del Cho Oyu e dell' Everest arriviamo a Namche Bazaar dove tutto cambia.
Siamo ormai all' interno del Sagarmatha National Park , nella valle del Khumbu ed è tutto un via vai di turisti di ogni nazionalità, da chi è arrivato qui guarda l' Everest e torna indietro a chi fa trekking più impegnativi a chi è venuto a scalare i 6000, 7000, 8000.
A Namche facciamo una bella escursione a quota 3880 all' Everest View da cui si gode una superba vista di Everest, Lhotse e Amadablan e che passa vicino alla Edmund Hillary school di Chung Jung, e poi il gruppo si divide.
Linda e io proseguiamo intenzionati a vedere il campo base dell' Everest, il Kala Patthar e scalare il Lobuche Peak, gli altri come già previsto rientrano.
Purtroppo con loro se ne vanno anche parte delle guide, dei portatori e il cuoco, d'ora in poi mangeremo nei lodge e la differenza si sentirà.
Il paesaggio attorno ai 4000 mt cambia, scompaiono i villaggi, gli alberi e i campi coltivati e inizia una vegetazione brulla fatta di cespugli radi, le case sono ormai solo lodge per i turisti.
Gli ultimi insediamenti non legati al turismo sono gli importanti monasteri di Tengboche e Pengboche. Gli asini e le dzo sono ora sostituiti dagli yak.
L' aria si fa davvero sottile e bisogna camminare lentamente bistari bistari sopratutto in salita per evitare il fiatone; di giorno col sole è ancora caldo ma la temperatura dopo il tramonto cala rapidamente e le sere si passano nel lodge attorno alla stufa (che non essendoci più vegetazione arborea è ora alimentata con sterco secco di yak) aspettando almeno le 20 per andare a dormire. In compenso le grandi montagne si fanno sempre più vicine, poco prima di Lobuche (4950) vediamo in lontananza un bel lago glaciale, arriviamo a visitare il laboratorio del CNR a 5050 mt e poi, poi mi piacerebbe avere altro da raccontare ma quella notte mi prende un attacco di mal di montagna e devo ridiscendere a Namche. Linda pero' continua e arriverà al Kala Patthar, al campo base dell' Everest e al Lobuche Peak 6119.
Ci ritroviamo 4 giorni dopo a Namche, nel frattempo è arrivata un' ondata di maltempo e l' aeroporto di Lukla da cui dobbiamo rientrare a Kathmandu è fermo da 10 giorni per cui siamo un po' in ansia per il timore di perdere il volo per l' Italia.
L' ansia è più che giustificata, è tutto bloccato, c'è gente ferma a Lukla da 10 giorni, e riusciremo solo grazie alla capacità organizzativa di Chhongba e a un salatissimo sovrapprezzo a rientrare in elicottero a Kathmandu e quindi in Italia.
Al di là del rimpianto per aver dovuto rinunciare alla parte finale ritengo che essa pur bellissima e spettacolare per l' essere in presenza delle montagne più alte del mondo e di luoghi certamente speciali sia solo la ciliegina sulla torta costituita da tutto il viaggio, i rapporti instaurati con gli sherpa, la conoscenza certamente da approfondire di un mondo cosi' diverso dal nostro. Penso che chi vada in Nepal solo per scalare e del Nepal miri a conoscere solo le alte vette senza guardarsi attorno e comunicare con la gente locale e senza cercare di capire lo spirito dei luoghi si perda qualcosa di ben più importante.
“Il viaggio è come una porta dalla quale si esce dalla realtà nota e che ci fa entrare in un'altra realtà simile al sogno”

Trek effettuato dal 29-10-2010 al 22-11-2010.
Il trek è stato svolto col supporto della organizzazione di sherpa Nepalesi Monviso Treks (www.monvisotreks.com) e è stato oganizzato da Giovanna Autino nell' ambito del Progetto Margherita attività umanitaria del Soccorso Alpino Piemontese vedi sotto www.caiivrea.it Notizie/Progetto Margherita .
Un ringraziamento a Giovanna, agli sherpa Chhongba, Lakpa, Lakpa-2, Pemba, Saila, al cuoco Icha, ai portatori Domi e tutti gli altri e a tutti i nepalesi che ci hanno sorriso durante questo viaggio.