domenica 28 febbraio 2010

La montagna è bella... e per renderla più bella...

E sempre in tema di montagne quest'ultimo articoletto pubblicato su Alpinismo Canavesano a fine 2009.


La montagna è bella... e per renderla più bella...


La montagna è tutta bella, sempre, in qualunque modo tu la frequenti.
Che tu sia un provetto alpinista o un modesto camminatore, che tu vada per funghi o frequenti le più alte cime, che tu ci vada d'estate con il sole o in autunno con la nebbia e un po' di pioggia, che tu vada a sciare sulle piste o conquisti la neve vergine con ciaspole e pelli di foca, la montagna è sempre bella...
Ma... non tutti siamo uguali, qualcuno ritiene che si possa migliorare ulteriormente questa bellezza ed ecco spuntare le opere dell' uomo.
Sia chiaro, non voglio parlare delle strade che ormai portano negli angoli più remoti, né degli impianti di risalita o delle seconde case purtroppo spesso vuote per la maggior parte dell' anno.
Qui, lo sappiamo, la molla non è necessariamente il desiderio di migliorare la bellezza delle valli ma si tratta anche e sopratutto di motivi economici che se a volte hanno portato benessere ai montanari altre volte hanno solo portato soldi a società che di valligiano hanno poco o nulla; comunque passi, quantomeno la montagna anche se non più pura e incontaminata sarà fruibile da una massa maggiore di persone.
Quando parlo di opere dell' uomo intendo qualcosa di più alto e disinteressato, mi riferisco a
quella nuova categoria di esteti e amanti della montagna che, non paghi, hanno deciso di migliorarne ulteriormente la bellezza aggiungendo un tocco di modernità e tecnologia a questi luoghi, diciamocelo, troppo selvaggi.
Ed ecco spuntare artistici manufatti disposti con gusto nei prati, boschi e sentieri. Come non sentirsi ammirati e oserei dire commossi al vedere tanto buon gusto sparso con amore affinché tutti ne possano godere.
Con quali parole potremmo descrivere la gioia che ci pervade ammirando una artistica bottiglia di plastica qui, una lattina lì, un sacchetto di piatti e posate di plastica dietro un cespuglio, carte e mozziconi disposti con gusto in un prato e sopratutto quei meravigliosi fazzolettini di carta che costellano, come bianchi fiori, ormai tutti i nostri sentieri.
Sinceramente sono affranto perché non possiedo il tocco per realizzare queste opere; esito a definirle opere d' arte e a distribuirle in modo adeguato sui sentieri e nei prati, anzi, sono stato finora talmente sprecone e gretto da raccogliere il tutto e portarlo a casa per buttarlo nell' immondizia!!!
Però.... ecco mi è venuta un' idea, vorrei rimediare e contribuire anch'io a migliorare l'estetica: se qualcuno di questi signori mi vuole gentilmente dare il suo indirizzo sarei felice di recapitargli un po' di fazzolettini, lattine, piatti di plastica usati affinché li possa artisticamente distribuire nel giardino di casa sua o nel suo salotto.
Sono certo che dopo aver provato tale bellezza in casa propria anche il più consumato di questi esteti riuscirebbe a capire il nostro punto di vista e apprezzare i prati e i boschi incontaminati .

Il mio primo 4000

Ho ritrovato anche questo, pubblicato su Alpinismo Canavesano credo nel 2004, anche qui è nata una passione, i ghiacciai. Mi limito a quelli facili o poco difficili (F-PD per gli esperti) e mi diverto un sacco, qualche foto nel blog l' avete già vista.


Il mio primo quattromila


6 Luglio 2002, ritrovo alle 13 al CAI, partenza per Gressoney poi funivia per il passo dei Salati (2944), quindi una bella camminata fino al rifugio Gnifetti (3611) dove dormiremo.
Domattina prima dell’ alba partiremo per la punta Gnifetti e la punta Zumstein vette tra le cinque più alte d’ Europa.
Sono emozionato e anche un po’ spaventato: è il mio primo quattromila.

Il meteo prevede brutto tempo oggi ma bello domani, speriamo sia vero.
Al passo dei Salati troviamo nevischio ma, confortati dalla speranza che domani sia bello, iniziamo a salire sullo Stolemberg; c’è qualche passaggio attrezzato e le corde sono tutte bagnate, i guanti si infradiciano subito e le mani sono gelate. A punta Indren ci fermiamo per ricompattare il gruppo (siamo una ventina, domani faremo almeno 6 cordate) e prendere fiato. Nevica forte ma anche la foschia non riesce a nascondere il pessimo impatto ambientale della stazione di arrivo degli impianti di Alagna.
Ripartiti attraversiamo il piccolo ghiacciaio successivo completamente pieno di neve (che differenza con l’ anno dopo quando tornerò e troverò ghiaccio vivo, ruscelli di acqua di fusione e piccoli crepacci) e poi prendiamo il sentiero attrezzato che porta alla spalla che sovrasta il rifugio Mantova e quindi direttamente al rifugio Gnifetti. E’ un bel sentiero con scalette di legno, corde, abbastanza ripido ma non difficile, sarebbe un vero divertimento se non nevicasse e non fossimo tutti fradici.
Finalmente alla nostra sinistra su uno spuntone di terreno solido ecco la Gnifetti (3611)!
Per arrivarci percorriamo un lungo traverso su neve, subito dopo il rifugio iniziano i seracchi e la salita che porta al Col del Lys
Giunti al rifugio ci possiamo togliere la roba bagnata e cambiare; peccato, la stufa è spenta cosi non riusciremo ad asciugare nulla, comunque stendiamo tutto speranzosi, però la stufa quella sera non verrà accesa anche se, miracoli della microfibra, la roba asciugherà lo stesso.
Aspettiamo l’ ora di cena sorseggiando un bicchiere di vino, di andar fuori non se ne parla nemmeno, ha smesso di nevicare ed è tornato il sole ma tira una “bisa” che fa accapponare la pelle.
Dopo cena tutti a dormire presto, domani colazione alle 4, ramponi e partenza alle 4.30.
Siamo sistemati all’ ultimo piano, in 40 in un camerone, un po’ di sano riscaldamento marca “il bue e l’ asinello” ci farà bene.
Dalla finestra uno splendido panorama sui seracchi del ghiacciaio del Lys.
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7 Luglio 2002, 4 del Mattino.
Sveglia, per fortuna non ho patito la nottata, ci laviamo alle svelte, meno male che al mattino l’ acqua c’è, ieri era stata dura.
Colazione: the bollente, pane burro e marmellata; ci infiliamo qualche fetta di pane fresco in tasca; dividiamo la roba da portar su da quella che riprenderemo al ritorno e fuori!

Notte di stelle lontane e noncuranti.
Vento da Nord.
Freddo.
Pigra la luna naviga il silenzio sopra i ghiacciai.
(Eugenio Pesci, Solitudine sulla Est, Vivalda editore 1996 pagina 171)

Lo spettacolo è bellissimo, è ancora buio, fa un freddo cane, alla luce delle frontali ci infiliamo i ramponi (è proprio complicato, ho un vecchio modello con un sacco di cinghietti ed è la seconda volta che li uso), poi veniamo assegnati ai vari capicordata che ci legano e fanno i nodi a palla (non si sa mai, potrebbe esserci un crepaccio nascosto, è meglio essere prudenti).
Sempre alla luce delle frontali ci incamminiamo, c’è una marea di gente ed è bellissimo al buio vedere i puntini delle frontali che indicano le cordate che salgono, qualcuna davanti a noi, altre più giù sono appena partite dal Mantova.

C’è un lungo tratto in piano, intanto la luminosità aumenta e pian piano il buio della notte cede il passo al bianco del ghiacciaio, il freddo è intenso e c’è un vento maligno che penetra sotto la giacca a vento e i vari strati di vestiario che abbiamo addosso (meno male che mi ero portato un paio di guanti di riserva, con quelli di ieri fradici non sarei potuto venire).

Si comincia a salire, intravediamo il labbro di un crepaccio, sembra piccolo, l’anno dopo sarà un salto di qualche metro, saliamo ancora. La neve cede sotto lo scarpone e affondo fino all’ inguine, non è un crepaccio è solo neve molle e i miei troppi chili. Il mio compagno mi aiuta a uscirne e riprendiamo a salire.
Sulla destra del colle, sulla Ludwigshohe, il vento solleva sbuffi di neve stupendi, siamo fortunati, è freddo ma sereno, la nevicata di ieri ha portato via tutto, avremo un panorama incredibile.

Tutta la salita è in ombra ma siamo finalmente al Colle della Scoperta, non so perché si chiami cosi’ però il sole che ci accoglie qui è già un buon motivo, è abbagliante, dobbiamo infilare gli occhiali scuri, a destra il vento continua a ricamare i suoi ghirigori con la neve sulla Ludwigshohe, a sinistra riconosco la meravigliosa ardita cresta del Lyskamm orientale. Di fronte un ampio anfiteatro digradante verso la valle di Zermatt in fondo al quale a destra la Margherita e a sinistra la Zumstein .


Ci fermiamo a tirare il fiato, abbiamo ormai superato quota quattromila (4153 per la precisione) e mangiucchiamo qualcosa per tenerci in forza. Devo togliere i guanti e mi si gelano le mani, non so quale sia la temperatura, prima all’ombra saranno stati meno 15, qui col sole va un po’ meglio ma è bene ripartire subito perché si gela.
Il traverso è lungo, all’ ombra, non sento più le mani, muovo per quanto possibile le dita, maledizione perché ieri mi si sono bagnati i guanti, questi di riserva sono troppo leggeri!, Il traverso è facile ma è bene non scivolare altrimenti ci si ritrova almeno 100 metri più giù sempre che non ci sia qualche crepaccio in mezzo. In lontananza si vede il Cervino. Le cordate sono molte e ogni tanto bisogna fermarsi perché il sentiero è stretto, meno male, abbiamo ricominciato a salire e comincio a sentire la fatica della quota.
Sbuchiamo sul colle Gnifetti (4454) che sono quasi le 10, i capicordata si consultano e si decide che alle 11 si inizia a scendere ovunque si sia arrivati (è prudenziale ma dobbiamo prendere l’ ultima funivia ai Salati alle quattro e mezza). Dobbiamo decidere se andare alla Margherita o alla Zumstein, non abbiamo abbastanza tempo per tutte e due. Voto per la Zumstein (4563): è al sole, è 4 metri piu’ alta della Margherita (4559), è meno “turistica”.
Decidiamo di lasciare gli zaini al colle e di salire leggeri ed è un bene perché questi ultimi cento metri in quota sono davvero duri, manca il fiato, c’è una crestina di neve bellissima e molto esposta, di qua se scivoli arrivi al Colle Gnifetti e .... prosegui, di là cadi direttamente nel lago Effimero oltre mille metri più sotto.
Il vento è terribile, incontriamo una cordata che sta tornando indietro perché una del gruppo è spaventata e non se la sente di proseguire. Uno di loro si stacca e si lega alla nostra corda.
Facendo sicura e aggrappandoci alle picche attraversiamo anche la cresta, a metà dobbiamo saltarla e passare dall’ altra parte, cosa che la prima volta si fa con un po’ d’ansia, e alla fine siamo fuori, ancora pochi metri di roccette e la Zumstein è nostra.
Che meraviglia! la Dufour, la Nordend, la Gnifetti, le cime “ minori” che sono comunque tutte 4000 di rispetto, il Bianco in distanza e tutte le altre, sono stanco, cotto ma felice.
Soffro un po’ di vertigine come sempre quando mi trovo su una punta stretta.
Siamo in tanti quassù (due cordate), bisogna stare attenti a non imbrogliare le corde; di fronte, sul tracciato che porta alla Margherita c’è una processione di gente.
Si decide di attrezzare una corda fissa per facilitare la discesa sulle roccette così uno alla volta scendiamo e arrivati all’ inizio della cresta ci assicuriamo, scarica qualche sasso e bisogna stare discosti dalla parete. La cresta in discesa fa più impressione ma ormai ci siamo, non si può aver fifa adesso e si scende.

Arriviamo agli zaini ci sediamo e .... diamo fondo alle nostre provviste, all’ acqua che è gelida e a una meravigliosa boccettina di pura grappa di mirtilli che emerge da una tasca.
Con calma ripercorriamo, e in discesa col sole è molto più agevole, i nostri passi.
Al Col del Lys ritroviamo tutti gli amici, una cordata non è riuscita ad arrivare perchè uno di loro non stava bene, pazienza sarà per la prossima volta.
Fa molto caldo, il sole brucia e c’è un forte riverbero, meno male che siamo tutti ben spalmati di crema.
La neve fa zoccolo sotto i ramponi e mi insegnano a dare il colpo di picca per toglierla.
Scendiamo ormai appaiati, la corda è comunque una misura di prudenza ma siamo quasi giù e in vista del rifugio ci togliamo anche i ramponi .
Arriviamo al rifugio poco dopo l’una, correndo un po’ avremmo potuto fare anche la Gnifetti, ma non importa poi molto; diamo fondo anche alle provviste lasciate in rifugio , ci godiamo un’altra ora abbondante di sole e poi via. Il ritorno sullo Stolemberg è lungo e noioso (sarà la stanchezza) ma alla fine siamo giù, un quarto d’ora di funivia, una birra e poi a casa.

martedì 23 febbraio 2010

LE CIASPE : nascita di un amore

Ho ritrovato tra le mie cose questo articoletto scritto nel 2001 per ALPINISMO CANAVESANO la rivista del CAI di Ivrea, ve lo propongo senza modificare una virgola.



LE CIASPE : nascita di un amore

Da tanto tempo c’era la voglia di trovare qualcosa di nuovo da fare in montagna d’ inverno che non fosse la solita discesa in pista e fosse comunque abbordabile.
Pero’ non è facile decidersi, soprattutto se non hai la compagnia giusta; per fortuna un bel giorno entra in scena P. e mi dice che al CAI organizzano le gite con le racchette e di provare a andare, bara un po’ perché sostiene che non si fa tanto dislivello e che sono passeggiate tranquille ma lo guardo e penso “ se ce la fa lui ce la faccio anch’io” e cosi mi iscrivo…… poi mi informo e scopro che e da quando è nato che mangia pane e montagna e che per partire mi devo trovare al posto convenuto più o meno all’alba ma ormai sono in ballo e vado.
A questo punto alla domenica sveglia all’ alba e raduno al parcheggio dove tutti imbacuccati e intabarrati non ci si riconosce quasi salvo P. (distinguibile dal mezzo toscano che sbuca dalla sciarpa), e un’ amica che ha un difetto di respirazione per cui o parla o soffoca e quindi riesce a parlare anche con questo freddo.

Ci dividiamo tra le macchine carichiamo le ciaspe, i bastoncini e gli arva, verifichiamo che lo smemorato di turno non abbia lasciato a casa uno scarpone o i bastoncini e si parte.

Il capogita, che col potere che gli deriva dalla sua carica decide sempre all’ ultimo momento (in base alle condizioni di innevamento, al bollettino delle valanghe e alla dislocazione delle piole ) quale itinerario fare, ci informa che oggi andiamo a cima A. ( e chissa dov’è?).

Percorriamo una stradina infernale stretta e con neve, ci si ferma mettere le catene e finalmente si arriva in un paesino deserto con al massimo 4 abitanti e 10 galline surgelate. Fuori della macchina ci saranno almeno 56 gradi sotto zero! E’ la Siberia? Abbiamo sbagliato strada? No! Il CAPOGITA ci rassicura, siamo a P. il punto di partenza.

Ci mettiamo l’ attrezzatura addosso , controlliamo che gli Arva siano accesi, e si parte.
Costeggiamo tre case, una bella fontana che stranamente non è gelata (ma allora non è cosi’ freddo), ci infiliamo su per una scaletta di pietra e ci troviamo su un bel sentiero innevato in mezzo ai larici.
Appena usciti dal bosco siamo al sole, tutto questo bianco incontaminato dove non è ancora passato nessuno è uno spettacolo e attacca la salita. E’ ripido, ci tocca andare a zig zag e ci diamo il turno a battere la neve perchè ci sono dieci centimetri di neve fresca e a fare il primo non si resiste più di tanto: ti accorgi subito che si suda come d’ estate e lo zaino pesa anche di più.
E’ una favola, sulla neve ci sono solo le nostre peste e quelle di qualche lepre.
Il gruppo comincia a sfilacciarsi per motivi fotografici, mangerecci, innominabili e beh , siamo onesti, perché mica tutti hanno lo stesso allenamento.
A mezza costa all’ altezza di un paio di baite ci fermiamo a ricompattare il gruppo e poi attacca lo strappo finale, nel frattempo sono venute le 11, la neve ha mollato, è ripido, e col peso che mi ritrovo sprofondo che è un piacere, ma la voglia è tanta, bisogna arrivare.
Mi fanno una rabbia le ragazze così leggere che sembra quasi non lascino traccia sulla neve.
Mi conforta il fatto che non sono l’ unico ad essere stanco: E. , che è una esperta e ha fatto tutte le montagne dei dintorni sta facendo testamento perché ha deciso che morirà per strada, M. abbandona e ci aspetta al rifugio e io pur soffrendo continuo a mettere un piede davanti all’ altro e a andar su (nel frattempo ho anche messo le prolunghe alle racchette cosi non sprofondo più).

Finalmente arriviamo a cima A., sono tra gli ultimi ma felice! Quattro foto a questo panorama meraviglioso , i colori , tutto questo bianco, il silenzio , questo paesaggio incontaminato e riservato ai pochi valgono ben di più della fatica che abbiamo fatto, poi giu’ di corsa nella neve alta e morbida che sembra una panna montata , questo si che è divertimento, fino al rifugio

E qui cominciano le sorprese : dallo zaino di R. esce una torta, da quello di C. un’ altra, gli uomini tirano fuori delle strane fiaschette (ma l’ alcol in montagna non faceva male?) e si mangia in allegria.

Affrontiamo la discesa per un costone pieno di neve che porta dritto alle baite, meno male che il capo gita è un vero duro che sa il fatto suo perché io proprio non mi fiderei, la neve è alta, ci sono parecchi buchi e si sprofonda spesso fino alla coscia ma tra una risata e una caduta in mezz’ora siamo giù .

Si va alle macchine, poi in piola a mangiare le famose acciughe al verde e a metterci d’accordo per la prossima gita .