Ho ritrovato tra le mie cose questo articoletto scritto nel 2001 per ALPINISMO CANAVESANO la rivista del CAI di Ivrea, ve lo propongo senza modificare una virgola.
LE CIASPE : nascita di un amore
Da tanto tempo c’era la voglia di trovare qualcosa di nuovo da fare in montagna d’ inverno che non fosse la solita discesa in pista e fosse comunque abbordabile.
Pero’ non è facile decidersi, soprattutto se non hai la compagnia giusta; per fortuna un bel giorno entra in scena P. e mi dice che al CAI organizzano le gite con le racchette e di provare a andare, bara un po’ perché sostiene che non si fa tanto dislivello e che sono passeggiate tranquille ma lo guardo e penso “ se ce la fa lui ce la faccio anch’io” e cosi mi iscrivo…… poi mi informo e scopro che e da quando è nato che mangia pane e montagna e che per partire mi devo trovare al posto convenuto più o meno all’alba ma ormai sono in ballo e vado.
A questo punto alla domenica sveglia all’ alba e raduno al parcheggio dove tutti imbacuccati e intabarrati non ci si riconosce quasi salvo P. (distinguibile dal mezzo toscano che sbuca dalla sciarpa), e un’ amica che ha un difetto di respirazione per cui o parla o soffoca e quindi riesce a parlare anche con questo freddo.
Ci dividiamo tra le macchine carichiamo le ciaspe, i bastoncini e gli arva, verifichiamo che lo smemorato di turno non abbia lasciato a casa uno scarpone o i bastoncini e si parte.
Il capogita, che col potere che gli deriva dalla sua carica decide sempre all’ ultimo momento (in base alle condizioni di innevamento, al bollettino delle valanghe e alla dislocazione delle piole ) quale itinerario fare, ci informa che oggi andiamo a cima A. ( e chissa dov’è?).
Percorriamo una stradina infernale stretta e con neve, ci si ferma mettere le catene e finalmente si arriva in un paesino deserto con al massimo 4 abitanti e 10 galline surgelate. Fuori della macchina ci saranno almeno 56 gradi sotto zero! E’ la Siberia? Abbiamo sbagliato strada? No! Il CAPOGITA ci rassicura, siamo a P. il punto di partenza.
Ci mettiamo l’ attrezzatura addosso , controlliamo che gli Arva siano accesi, e si parte.
Costeggiamo tre case, una bella fontana che stranamente non è gelata (ma allora non è cosi’ freddo), ci infiliamo su per una scaletta di pietra e ci troviamo su un bel sentiero innevato in mezzo ai larici.
Appena usciti dal bosco siamo al sole, tutto questo bianco incontaminato dove non è ancora passato nessuno è uno spettacolo e attacca la salita. E’ ripido, ci tocca andare a zig zag e ci diamo il turno a battere la neve perchè ci sono dieci centimetri di neve fresca e a fare il primo non si resiste più di tanto: ti accorgi subito che si suda come d’ estate e lo zaino pesa anche di più.
E’ una favola, sulla neve ci sono solo le nostre peste e quelle di qualche lepre.
Il gruppo comincia a sfilacciarsi per motivi fotografici, mangerecci, innominabili e beh , siamo onesti, perché mica tutti hanno lo stesso allenamento.
A mezza costa all’ altezza di un paio di baite ci fermiamo a ricompattare il gruppo e poi attacca lo strappo finale, nel frattempo sono venute le 11, la neve ha mollato, è ripido, e col peso che mi ritrovo sprofondo che è un piacere, ma la voglia è tanta, bisogna arrivare.
Mi fanno una rabbia le ragazze così leggere che sembra quasi non lascino traccia sulla neve.
Mi conforta il fatto che non sono l’ unico ad essere stanco: E. , che è una esperta e ha fatto tutte le montagne dei dintorni sta facendo testamento perché ha deciso che morirà per strada, M. abbandona e ci aspetta al rifugio e io pur soffrendo continuo a mettere un piede davanti all’ altro e a andar su (nel frattempo ho anche messo le prolunghe alle racchette cosi non sprofondo più).
Finalmente arriviamo a cima A., sono tra gli ultimi ma felice! Quattro foto a questo panorama meraviglioso , i colori , tutto questo bianco, il silenzio , questo paesaggio incontaminato e riservato ai pochi valgono ben di più della fatica che abbiamo fatto, poi giu’ di corsa nella neve alta e morbida che sembra una panna montata , questo si che è divertimento, fino al rifugio
E qui cominciano le sorprese : dallo zaino di R. esce una torta, da quello di C. un’ altra, gli uomini tirano fuori delle strane fiaschette (ma l’ alcol in montagna non faceva male?) e si mangia in allegria.
Affrontiamo la discesa per un costone pieno di neve che porta dritto alle baite, meno male che il capo gita è un vero duro che sa il fatto suo perché io proprio non mi fiderei, la neve è alta, ci sono parecchi buchi e si sprofonda spesso fino alla coscia ma tra una risata e una caduta in mezz’ora siamo giù .
Si va alle macchine, poi in piola a mangiare le famose acciughe al verde e a metterci d’accordo per la prossima gita .
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